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LA DONNA CONTEMPORANEA, I SUOI TANTI RUOLI E IL TEMPO PER IL VOLONTARIATO

Caro Direttore,
l’otto marzo è passato da alcuni giorni e sia come donna, sia come donna impegnata, vorrei fare un sintetico bilancio.
L’inaugurazione del Centro Antiviolenza, avvenuta sabato 14 Marzo a Legnano, è da iscrivere tra gli eventi più significativi nel calendario delle celebrazioni.
Altra importante realizzazione e autentico fiore all’occhiello, come ha avuto modo di dichiarare la coordinatrice della commissione Pari Opportunità Ester Bacco, è la modifica al regolamento e alla normativa sulla pubblicità per contrastare la diffusione della pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità della persona. La Commissione, da tempo impegnata su questo tema, merita un plauso sincero. Un plauso anche alle forze politiche e a tutti coloro che hanno consentito tale modifica. Personalmente ritengo che essa rappresenti un importante passo avanti nei confronti della dignità delle donne, ci avvicini sempre più all’Europa del Nord e sia una prima risposta al CEDAW, il comitato ONU per la difesa dei diritti delle donne, che aveva sollecitato lo Stato affinché intervenisse sulle immagini sessiste divulgate dall’industria della pubblicità e dai media.
Infine una serie di appuntamenti, fatti di musica, pittura, arte, letteratura, tutti di grande afflato culturale, hanno restituito senso e spessore a una storica celebrazione, come è appunto l’8 marzo, che rischiava di trasformarsi in un rito commerciale e godereccio.
Molto bene ciò che hanno fatto Legnano e il territorio! Molto bene davvero.
Mi resta tuttavia un domanda che vorrei esprimere e condividere con le donne di oggi e, soprattutto, con quelle di ieri. Con le donne che senza enfasi e senza una sequela di selfie, ogni mattina si alzano per fare, oltre al personale lavoro, anche quello che nessun’altro farebbe, e tuttavia indispensabile in una società civile e avanzata. Donne che, assieme agli uomini, assicurano al mondo un pezzetto di welfare ogni giorno, pur non conoscendo, a volte, i meccanismi e le strane regole che guidano politica, finanza e potere.
Il pensiero-domanda mi è venuto proprio mentre Antonella Manfrin, presentando Filo Rosa Auser (associazione affiliata alla Rete Auser e di cui lei è presidente) affermava e vantava il ruolo delle volontarie all’interno dell’associazione.
Ho pensato mentre Antonella parlava che è proprio vero: tanto si muove grazie ai volontari. In questo caso alle volontarie. Che sono tante. L’ultimo dato Istat ci dice che all’interno di associazioni strutturate e organizzate, le donne volontarie sono 1.8 milioni, contro i 2.9 milioni di uomini.
Eppure, nonostante i cambiamenti della coscienza femminile, le donne si scontrano con una realtà dura e costellata di blocchi, squilibri, eccessivi carichi di lavoro, che a prima vista, sembrerebbero limitare il loro apporto al volontariato.
Una realtà dura, in cui la crisi, ormai assidua compagna di viaggio, ha rafforzato lo stato di precarietà e trasformato il lavoro delle donne (quando c’è) in una dura corsa ad ostacoli.
A ciò si aggiunga il crescente doppio o triplo ruolo della donna. Da sempre, infatti, le donne sono il pilastro della rete informale di aiuto tra le famiglie. Sono le principali care giver (32,5%), dedicano più di 2 miliardi di ore di lavoro di cura per altre famiglie in un anno. (Un lavoro istat, analizzando due generazioni di donne, nate rispettivamente nel 1940 e 1970, dimostra che entrambe si trovano a dividere il lavoro di cura all’interno della rete parentale, ma la prima lo fa con altri 9 adulti, la seconda con 5. La prima ha almeno un anziano per 12 anni nella rete di parentela, la seconda ha almeno un anziano per 22 anni nella rete di parentela. Sempre questa analisi evidenzia e ratifica un nuovo modello di donna: la nonna “sandwich”. Sulle nonne (in particolare sulle generazioni nate dopo il 1940) tende a concentrarsi un sovraccarico di lavoro di cura: benché con un minore numero di figli e nipoti rispetto alle donne nate prima del 1940 , esse sono più spesso chiamate a sostenere figlie/nuore impegnate nel mondo del lavoro e ad assistere genitori molto anziani, gestendo al contempo, le esigenze dei familiari conviventi, e il loro lavoro; sempre più schiacciate tra cura dei nipoti, carico di lavoro all’interno della propria famiglia, l’assistenza dei genitori anziani in molti casi non autosufficienti e in alcuni casi anche il carico del loro lavoro extradomestico).
Tutto ciò è noto, mi dirà qualcuno. Noto soprattutto alle donne, che su questo orizzonte non soffrono di miopia. Da molti anni, infatti, le donne, le fragili donne, si interrogano, si mobilitano per rendere più agevole lo slalom quotidiano e chiedono aiuto: conciliazione dei tempi, città a misura di donne, attenzione alle famiglie monoparentali.
I risultati non sono stati brillanti. Anzi, molto spesso, si sono tradotti in sterili prove sperimentali.
E ciò nonostante le donne trovano anche il tempo e la “voglia” di dedicarsi al volontariato.
La sociologa Elisabetta Donati, in una sua ricerca presentata a novembre 2013 dal titolo “La Cura da destino a risorsa” prova a dare una lettura del fenomeno, partendo da lontano. In tutta Europa nel 1800 l’attività caritatevole delle donne fu uno dei punti di partenza del movimento delle donne (G. Bock, 2008) • Le donne uscivano di casa, viaggiavano, raccoglievano fondi, gestivano patrimoni, rivalutavano i compiti pratici, acquisivano autonomia, allargavano il loro orizzonte, si rendevano conto delle lacune dell’istruzione, Attraverso il volontariato, associazioni di donne intervenivano su questioni sociali cruciali, mettendo in discussione assetti di classe e quadri culturali: la povertà, la doppia morale, le diseguaglianze delle donne come questione “pubblica”, il diritto al voto. Rivendicavano tempo e spazio per attività di cura non obbligate, di una relazionalità con l’altro che non fosse fatica ma piacere - tempo per sé – Muovendosi con maggior libertà sul palcoscenico della vita sociale, le filantrope cercavano di contribuire al bene comune e in tal modo scoprivano la loro soggettività ed il loro valore, mentre le femministe miravano alla propria realizzazione e credevano che il bene femminile avrebbe contribuito al bene comune…
In pratica l’associazionismo, il volontariato, è stato accolto dalle donne come uno strumento di maturazione, di condivisione, di conoscenza.
Una chiave di lettura profonda. Ma forse c’è anche altro, forse c’è anche una disponibilità ad entrare in relazione con l’altro mettendo in gioco una scala di valori e di priorità diversa da quella messa in gioco dagli uomini.
E poi?
Ci sono altre risposte, certamente. Ma ciò che appare evidente, tangibile e indiscusso, è che passano gli anni, cambiano le condizioni e le costrizioni, ma la donna, continua a “darsi”, a prendersi cura dell’altro, nel tentativo di alleggerire la fatica di vivere.
Rosa Romano
(fonte: www.legnanonews.com)



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