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CLIMA: di che cosa si discute in concreto a Parigi

In generale (quasi) tutti sanno che alla Conferenza di Parigi si cerca un accordo globale per limitare le emissioni serra. Ma quali sono in concreto i punti in discussione?
I tetti alle emissioni
Come detto in un approfondimento precedente i Paesi rappresentati hanno trasmesso i loro obiettivi volontari, gli INDC. E’ molto probabile che la somma di questi numeri, decisi autonomamente da ogni Paese, costituisca l’obiettivo generale.
Con due gravi limiti:
1. Come spiegato precedentemente, questo tetto non limita a 2°C il riscaldamento globale, ma lo porta a 2,7°C secondo alcuni studi, a 3,5°C secondo altri;
2. Questi impegni coprono il periodo dal 2020 al 2025/2030. Nulla si dice di cosa fare prima del 2020 e dopo il 2025/2030.
Gli obiettivi a lungo termine. Non essendo definiti obiettivi Paese per Paese, si dovrà decidere su:
• Come formulare l’obiettivo generale del contenimento entro i 2°C, tenendo anche conto che alcuni Paesi, specie le piccole isole del Pacifico, chiedono di portare l’obiettivo a 1,5°C ritenuto di maggiore sicurezza;
• Come trattare la verifica e l’aggiustamento di questi obiettivi. Siccome si è consapevoli che non sono sufficienti né gli impegni dei singoli Paesi, né l’orizzonte temporale coperto, è necessario accordarsi su some verificarli ed aggiustarli nel tempo in modo che siano portati al conseguimento dell’obiettivo generale. Questo implica definire un sistema trasparente di verifica, monitoraggio e di revisione periodica.
La natura giuridica
In Conferenze sul clima precedenti era stato deciso che l’accordo di Parigi avrebbe dovuto avere un valore legale, non meglio definito e specificato. Questo è un argomento molto spinoso, perché, per esempio, l’Europa lo vorrebbe vincolante, gli USA no perché dovrebbe essere sottoposto al Congresso a maggioranza repubblicana e quindi probabilmente bocciato. Q ui i negoziatori dovranno dare il loro meglio per far quadrare il cerchio.
I finanziamenti – Fu già oggetto di discussione alla Conferenza di Copenhagen del 2009 e siamo ancora qui. In ossequio al principio delle “responsabilità condivise ma differenziate” i Paesi sviluppati devono alimentare un fondo, pari almeno a 100 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2020, per finanziare le azioni di mitigazione (cioè di riduzione delle emissioni) e di adattamento (cioè di difesa dagli impatti comunque inevitabili) dei paesi più poveri, prevedibilmente i più colpiti ma i meno responsabili delle emissioni di gas serra.
Perdite e danni
Era già stato oggetto della Conferenza a Varsavia nel 2013, ed è un meccanismo di compensazione economica per i danni e le perdite che subiranno in ogni caso i Paesi più esposti, per esempio le piccole isole del Pacifico e non responsabili delle emissioni. Inutile dire che non c’è accordo tra chi dovrebbe essere risarcito e chi dovrebbe risarcire.

Questi in breve i principali punti di discussione. Nel bilancio finale cercheremo di capire come sono stati sciolti e quale valutazione complessiva si può trarre.
Per chi volesse approfondire segnalo una spiegazione interattiva e dettagliata di tutti i punti (purtroppo solo in inglese) all’indirizzo www.carbonbrief.org/interactive-the-paris-climate-deal.
A chi possa essere interessato a commenti e aggiornamenti quasi in tempo reale segnalo il blog di Stefano Caserini www.climalteranti.org e le news quotidiane dall’Italian Climate Network all’indirizzo www.italiaclima.org.

Fulvio Fagiani (Auser Besozzo Insieme)


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